lunedì 7 aprile 2014

DEATH VESSEL, LOST IN THE TREES, MICAH P. HINSON


DEATH VESSEL (2014) Island Intervals

Death Vessel è il moniker di Joel Thibodeau, al terzo album dall’esordio nel 2005 sotto forma di un indie-folk acclamato dalla critica. Il suo precedente lavoro Nothing Is Precious Enough, già evoluto in indie folk-pop, si era conquistato la mia top ten nel 2008, ma da allora si erano perse le tracce di questo promettente americano di Providence (Maine). Torna dopo uno iato di 6 anni e dopo aver accompagnato i concerti di Sigur Ròs/Jònsi ed essersi trasferito per breve tempo in Islanda. E si sente. Registrato a Reykjavik con collaboratori di Mùm e Sigur Ròs e con ospite Jònsi, Island Intervals completa la metamorfosi in un indie-pop sognante, di malinconica ed eterea bellezza, aiutato da arpeggi e tasti acustici, e soprattutto dalla voce femminea, quasi fanciullesca del nostro. Immaginate se i Sigur Ròs comprimessero i loro sogni musicali in un album di canzoni pop, ed avrete idea dell’attuale Death Vessel.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Mercury Dime, Ilsa Drown, Ejecta

LOST IN THE TREES (2014) Past Life

Ari Picker, mente, cantante e chitarrista del gruppo americano LITT, ha condotto i compagni (più volte sostituiti) dall’indie-folk degli esordi nel 2007 all’indie-pop moderno del quarto album. Musica per sottrazione: pianoforte minimale a sostenere le trame, voce malinconica con tappeto di cori eterei, sezione ritmica mai invasiva, per un suono dalle belle melodie e tuttavia poco radiofonico perché cerebrale. Uno strano pop non popular, come hanno insegnato gli Alt-J (e prima di loro gli XTC), non di facile ascolto perché richiede dedizione, fortunatamente originale rispetto all’imperante revivalismo eighties a base di tastiere sintetiche e batteria metronomica.
Parecchi ascolti giovano, ma non siamo ancora all’altezza dei maestri.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Past Life, Daunting Friend, Glass Harp


MICAH P. HINSON (2014) And The Nothing

Una decina di anni fa, al suo esordio, avrei scommesso che questo americano, allora poco più che ventenne ma già dalla biografia da romanzo bukowskiano, sarebbe entrato nell’olimpo dei grandi della nostra musica. Come era stato, per simili attitudini bio-musicali, per Tom Waits, Johnny Cash o Shane MacGowan (cui assomiglia anche fisicamente). Invece, dopo 2 dischi-capolavoro, la natura anarchica del nostro lo portava a disperdersi in progetti minimali/collaterali o massimali (leggi orchestrali) condotti con mano non sempre sicura. And The Nothing è stato partorito dopo un terribile incidente con il van durante il tour spagnolo del 2011: MPH rischiò la vita e perse momentaneamente l’uso delle braccia (I Ain’t Movin’). Il ritorno a casa (On The Way Home To Abilene) lo ha portato a riprendere confidenza con la propria terra, il folk essenziale, il country dei padri, le emozioni trattenute, le angosce di nuovo pudiche: a scrivere in sostanza il suo lavoro più asciutto e scarno di sempre (non tragga in inganno l’isolato incipit punk), con molti echi di un Tom Waits di mezzo innamoratosi per una volta della campagna americana. Dominano la voce rotta del nostro ed il pianoforte, in compagnia di banjo , chitarra acustica e slide. Non il suo album migliore, ma certamente il suo più sincero, per qualità inferiore solo all’accoppiata degli esordi.
Voto Microby: 7.6
Preferite: I Ain’t Movin’, On The Way Home (To Abilene), The Life, Living, Death of


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