Death
Vessel è il moniker di Joel Thibodeau,
al terzo album dall’esordio nel 2005 sotto forma di un indie-folk
acclamato dalla critica. Il suo precedente lavoro Nothing
Is Precious Enough, già evoluto in indie
folk-pop, si era conquistato la mia top ten
nel 2008, ma da allora si erano perse le tracce di questo promettente
americano di Providence (Maine). Torna dopo uno iato di 6 anni e dopo
aver accompagnato i concerti di Sigur Ròs/Jònsi ed essersi
trasferito per breve tempo in Islanda. E si sente. Registrato a
Reykjavik con collaboratori di Mùm e Sigur Ròs e con ospite Jònsi,
Island Intervals
completa la metamorfosi in un indie-pop
sognante, di malinconica ed eterea bellezza, aiutato da arpeggi e
tasti acustici, e soprattutto dalla voce femminea, quasi fanciullesca
del nostro. Immaginate se i Sigur Ròs
comprimessero i loro sogni musicali in un album di canzoni pop, ed
avrete idea dell’attuale Death Vessel.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Mercury Dime, Ilsa Drown, Ejecta
LOST IN THE TREES (2014) Past Life
Ari
Picker, mente, cantante e chitarrista del gruppo americano LITT, ha
condotto i compagni (più volte sostituiti) dall’indie-folk degli
esordi nel 2007 all’indie-pop
moderno del quarto album. Musica per sottrazione: pianoforte minimale
a sostenere le trame, voce malinconica con tappeto di cori eterei,
sezione ritmica mai invasiva, per un suono dalle belle melodie e
tuttavia poco radiofonico perché cerebrale. Uno strano pop
non popular, come
hanno insegnato gli Alt-J
(e prima di loro gli XTC), non di facile ascolto perché richiede
dedizione, fortunatamente originale rispetto all’imperante
revivalismo eighties a base di tastiere sintetiche e batteria
metronomica.
Parecchi
ascolti giovano, ma non siamo ancora all’altezza dei maestri.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
Past Life, Daunting
Friend, Glass Harp
MICAH
P. HINSON (2014) And The Nothing
Una
decina di anni fa, al suo esordio, avrei scommesso che questo
americano, allora poco più che ventenne ma già dalla biografia da
romanzo bukowskiano, sarebbe entrato nell’olimpo dei grandi della
nostra musica. Come era stato, per simili attitudini bio-musicali,
per Tom Waits, Johnny
Cash o Shane MacGowan
(cui assomiglia anche fisicamente). Invece, dopo 2 dischi-capolavoro,
la natura anarchica del nostro lo portava a disperdersi in progetti
minimali/collaterali o massimali (leggi orchestrali) condotti con
mano non sempre sicura. And The Nothing
è stato partorito dopo un terribile incidente con il van durante il
tour spagnolo del 2011: MPH rischiò la vita e perse momentaneamente
l’uso delle braccia (I Ain’t Movin’).
Il ritorno a casa (On The Way Home To Abilene)
lo ha portato a riprendere confidenza con la propria terra, il folk
essenziale, il country dei padri, le emozioni trattenute, le angosce
di nuovo pudiche: a scrivere in sostanza il suo lavoro più asciutto
e scarno di sempre (non tragga in inganno l’isolato incipit punk),
con molti echi di un Tom Waits di mezzo innamoratosi per una volta
della campagna americana. Dominano la voce rotta del nostro ed il
pianoforte, in compagnia di banjo , chitarra acustica e slide. Non il
suo album migliore, ma certamente il suo più sincero, per qualità
inferiore solo all’accoppiata degli esordi.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
I Ain’t Movin’,
On The Way Home (To Abilene), The Life, Living, Death of
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