Secondo
album per la riformata, con nome abbreviato, Penguin
Cafè Orchestra, seminale progetto chiuso nel
1997 con la scomparsa del leader e fondatore inglese Simon Jeffes. Il
nuovo ensemble aveva esordito nel 2011 sotto la guida del figlio di
Jeffes, Arthur, e lungo le coordinate musicali con le quali già il
padre aveva descritto la PCO: “modern
semi-acustic chamber music”. Ora i membri
stabili sono 9, ed a dominare i brani strumentali sono al solito
pianoforte (solo acustico a differenza della PCO) e celli. A
differenza della PCO non vi è alcuna tendenza all’avantgarde,
e talvolta si nota una certa ridondanza ed un’eccessiva leziosità
dei suoni, che rischia l’accostamento alla new
age; meglio quando prevale l’influenza folk
o cameristica. In ogni caso il gusto per linee melodiche affascinanti
eseguite con impeccabile raffinatezza compensa e conquista.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Solaris, Black
Hibiscus, Bluejay
TO
ROCOCO ROT (2014) Instrument
Il
gruppo elettronico di Berlino, già attivo da una ventina di anni,
collabora per la prima volta col newyorkese Arto
Lindsay. Ne risulta un album ben amalgamato
che sposa piacevolmente le trame elettroniche
“quadrate” e da ascolto dei tedeschi con la voce sommessa e la
chitarra avantgarde
dell’artista americano.
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
Down In The Traffic,
Many Descriptions, Classify
SAMARIS
(2014) Silkidrangar
Il
giovane trio (2 donne e un uomo) di Reykjavik è insieme la naturale
evoluzione e la summa del ricchissimo humus musicale islandese: cita
a memoria (tralasciando l’avantgarde) la lezione della madre di
tutti, Bjork;
accarezza la liricità onirica dei Sigur Ros;
si ispira agli altri conterranei Mùm
e Olafur Arnalds, e li
condisce con liriche di poeti islandesi del 1800. Tuttavia getta uno
sguardo anche fuori dall’isola, dove è attratto dal minimale pop
elettronico di James Blake
e dal synth-pop più morbido di John Grant
e Fever Ray, ma
lambisce anche il dark di scuola 4AD (Cocteau
Twins e This Mortal
Coil in primis). Le melodie sono delineate
dal canto etereo e sospirato (Bjork-like) di Jofridur Akadottir,
sostenute da beats elettronici discreti e scaldate da un clarinetto.
Ne risulta un insieme ipnotico, contemplativo, sognante, mistico,
evocativo dei paesaggi d’origine. Il limite è l’eccessiva
uniformità e monocromaticità dei brani. Il pericolo futuro è la
ripetitività. La sfida è quella di un’evoluzione originale, che
si smarchi dalle fonti di ispirazione.
Voto
Microby: 7.2
Preferite:
Eg Vildi Fegin Verda, Vogguljòd, Tibrà
1 commento:
Mi ero perso il loro disco del 2011 e pensavo il Caffè avesse chiuso per sempre. La PCO mi ha sempre incuriosito: saranno state quelle copertine enigmatiche e colorate e quelle musiche quasi pastorali, così diverse da quello che, in quel genere, si poteva sentire (High Llamas, Philip Glass, Steve Reich). Questo lavoro è a pieno titolo un'ottima prosecuzione di quegli anni. Sicuramente da ascoltare e tenere sulla playlist 2014 il brano "Solaris". Voto: ☆☆☆1/2
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