lunedì 9 febbraio 2015

THE WATERBOYS, BILL FAY, BOB DYLAN


THE WATERBOYS (2015) Modern Blues
La band scozzese, da sempre identificata con il suo leader Mike Scott, polistrumentista ed unico musicista stabile del gruppo, ha firmato un solo capolavoro (Fisherman’s Blues, 1988) ma in trent’anni ha sempre mantenuto un buon profilo: più new wave passionale agli esordi, folk-rock trascinante e spirituale negli anni d’oro (1985-90), folk cantautorale negli anni zero. Col nuovo lavoro Scott torna ad arricchire di blues il titolo (solo quello), ma evidentemente porta fortuna, dal momento che Modern Blues è il miglior lavoro dei Waterboys da Fisherman’s Blues: il più americano, elettrico, vitale, contagioso, senza una canzone debole che si tratti di ballads scot-irish-soul o di rock trascinanti, vuoi blue collar, white soul, fifties, heartland. Gli strumentisti sono in stato di grazia, con plauso per gli infuocati duetti tra le chitarre elettriche di Jay Barclay e Zach Ernst e lo storico, scatenato violino di Steve Wickham: Album che cita Petty, Springsteen, Dylan, Van Morrison, Bob Seger, ma che mantiene una fisionomia propria, e che promette faville dal vivo.
Voto Microby: 8.5
Preferite: Destinies Entwined, Long Strange Golden Road, Still A Freak

BILL FAY (2015) Who Is The Sender?
Bill Fay possiede una storia personale ed una cifra stilistica che da sole invitano all’ascolto dei suoi quadretti profondamente introspettivi e malinconici. Riscoperto nel 2012 da un DJ americano dopo 40 anni di latitanza, il cantautore inglese si ripresenta oggi con la consueta struttura piano-voce, entrambi semplici e struggenti, ma eccede ancora negli arrangiamenti d’archi, e le stesse canzoni non sono all’altezza del precedente Life Is People. Siamo lontani dalla profonda, solitaria intensità del Johnny Cash degli American Recordings, operazione analoga targata Rick Rubin, ma l’ascolto è pur sempre apprezzabile se si è in cerca di raccoglimento ed intimità.
Voto Microby: 7
Preferite: Order of The Day, How Little, A Page Incomplete
BOB DYLAN (2015) Shadows In The Night
Che ci azzecca Bob Dylan con Frank Sinatra? Da lungo tempo inseguito il desiderio di interpretare alcuni evergreen dell’American Songbook (tutti già proposti da centinaia di artisti, ma le cui covers più note sono quelle del crooner italo-americano), il menestrello di Duluth rinuncia all’orchestra ed alla tentazione di fare l’originale a tutti i costi con versioni stravolte (scelte coraggiose), ma cade in quella della monotona ovvietà. Un quintetto acustico asseconda la sua voce, da chi amata e da chi odiata per i medesimi motivi (rotta, catramata, nasale, sgraziata, cartavetrata ma intensissima), ma assolutamente inadatta alle canzoni proposte (numerosissime le stonature, soprattutto sui timbri estremi). Ma non è un confronto con le corde vocali di “The voice” a deludere: è la piattezza di interpretazione, l’eccessiva timidezza nell’affrontare canzoni immortali. Il tutto si traduce in una noia che rende faticoso arrivare alla fine dei (per fortuna) soli 35 minuti. Forse il medesimo, troppo rispettoso ossequio nei confronti del più grande cantautore di sempre ha ottuso le orecchie di molti recensori, visto che Shadows In The Night è molto apprezzato dalla critica worldwide (Metacritic, che riassume decine di recensioni delle principali riviste musicali, gli assegna un 90, che sta per “universal acclaim”!). Forse sono io che devo lavarmi le orecchie, ma Dylan che ci azzecca con Sinatra?
Voto Microby: 5.5
Da salvare: Where Are You?, Full Moon And Empty Arms, I’m A Fool To Want You

3 commenti:

microby ha detto...

BOB DYLAN: Da non crederci... Credo per la prima volta in vita mia, sono d'accordo sul commento fatto dall'"Osservatore romano" all'ultimo lavoro di Dylan, stroncato con le parole: "Un disco di cui non si sentiva il bisogno". Devo preoccuparmi???

lucaf ha detto...

Un giorno mi spigherai perché vai a leggerti le recensioni musicali sull'osservatore romano.

microby ha detto...

Oops.... ne parlo solo col mio psicoanalista...

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