THE
DREAM SYNDICATE (2020) The Universe Inside
Esponente
di spicco del rock psichedelico californiano degli anni ’80 (il
cosiddetto “Paisley Underground”, di cui erano alfieri anche
Green On Red, Rain Parade, Bangles , Three O’Clock, Long Ryders tra
gli altri) e scioltosi nel 1990 dopo alcuni album pregevoli, il
Sindacato del Sogno ha sorpreso tutti con una reunion nel 2012 che ha
ripreso il discorso là dove era stato interrotto, suscitando unanimi
consensi nei tre dischi pubblicati da allora. Compreso l’attuale,
in cui il leader naturale Steve
Wynn ha portato
alle estreme conseguenze il linguaggio sonoro della band: 58 minuti
divisi in cinque lunghi brani a partire dall’azzardato singolo, The
Regulator, un
suicidio commerciale di 20’27", da cui non si discostano molto gli
altri brani, dall’impalcatura quasi esclusivamente strumentale cui
si accompagnano spoken
words più che un
cantato vero e proprio. Il clima è elettrico ed ovviamente coagulato
intorno ai tre chitarristi (Steve Wynn, Jason Victor e Paul B.
Cutler), ma non meno rilevanti appaiono i contributi degli ospiti,
dalle tastiere liquide di Chris Cacavas al sitar dell’ex Long
Ryders Stephen McCarthy, e soprattutto il sax jazz di Marcus Tenney.
Come già avvenuto per il brillante recente esordio dei The
Third Mind (vedi
recensione sul blog) la tecnica è stata quella di chiudersi in
studio e lasciare i musicisti liberi di improvvisare su un canovaccio
scritto. Il risultato non è né posticcio né pasticciato, e tutto
fuorchè debole. Fuori luogo parlare di jazz, come se
l’improvvisazione appartenesse solo a questo genere, soprattutto
perché in The
Universe Inside
manca lo swing,
mentre il groove
è assolutamente rock, esattamente come la sezione ritmica (gli
originali Mark Walton al basso e Dennis Duck alla batteria) che non
ha nulla della libertà del jazz ed anzi è trainata da una batteria
motorik.
Ha certamente più senso parlare di psichedelia,
totalmente nel DNA dei nostri, perché la libertà dei fraseggi e
delle citazioni è contaminata a 360°, ed il mood
è ipnotico e lisergico ma denso, arrembante, a tratti sinistro, mai
sognante e pacificato. Più che John Coltrane od Ornette Coleman
questo riuscito azzardo della band americana riprende e colora le
tele dell’acid
rock californiano
di fine sixties contaminandole con i Pink
Floyd barrettiani
ma soprattutto con il Canterbury
sound ed il krautrock
dei seventies (non a caso gli inventori del motorik in 4/4 sono stati
i batteristi Jaki Liebezeit dei Can e Klaus Dinger dei Neu!, gruppi
che in The Universe
Inside si scorgono
in molti passaggi), spingendosi a citare Fela
Kuti, il Miles
Davis di
Bitches Brew
ed il David Bowie
di Heroes
ma soprattutto di Blackstar,
al netto della capacità di sintesi di quest’ultimo, laddove i
nostri cercano la dilatazione. Un album sorprendente, teso, ostico,
estremo ma in linea con il percorso musicale dei Dream Syndicate:
cerca spessore, non leggerezza, e dispensa profondità, non eleganza.
Voto
Microby: 8
Preferite: Dusting Off The Rust, The Regulator
1 commento:
The Universe Inside è psichedelia molto sperimentale, in cui il rock elettrico si fonde con riverberi elettronici, free jazz, space rock. Si fa un pò fatica a digerirlo ma indubbiamente è originale. Ricorda alcune cose dei Can o, più modernamente, degli War on Drugs. Per me tre stelle.
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