domenica 19 aprile 2020

THE DREAM SYNDICATE


THE DREAM SYNDICATE (2020) The Universe Inside

Esponente di spicco del rock psichedelico californiano degli anni ’80 (il cosiddetto “Paisley Underground”, di cui erano alfieri anche Green On Red, Rain Parade, Bangles , Three O’Clock, Long Ryders tra gli altri) e scioltosi nel 1990 dopo alcuni album pregevoli, il Sindacato del Sogno ha sorpreso tutti con una reunion nel 2012 che ha ripreso il discorso là dove era stato interrotto, suscitando unanimi consensi nei tre dischi pubblicati da allora. Compreso l’attuale, in cui il leader naturale Steve Wynn ha portato alle estreme conseguenze il linguaggio sonoro della band: 58 minuti divisi in cinque lunghi brani a partire dall’azzardato singolo, The Regulator, un suicidio commerciale di 20’27", da cui non si discostano molto gli altri brani, dall’impalcatura quasi esclusivamente strumentale cui si accompagnano spoken words più che un cantato vero e proprio. Il clima è elettrico ed ovviamente coagulato intorno ai tre chitarristi (Steve Wynn, Jason Victor e Paul B. Cutler), ma non meno rilevanti appaiono i contributi degli ospiti, dalle tastiere liquide di Chris Cacavas al sitar dell’ex Long Ryders Stephen McCarthy, e soprattutto il sax jazz di Marcus Tenney. Come già avvenuto per il brillante recente esordio dei The Third Mind (vedi recensione sul blog) la tecnica è stata quella di chiudersi in studio e lasciare i musicisti liberi di improvvisare su un canovaccio scritto. Il risultato non è né posticcio né pasticciato, e tutto fuorchè debole. Fuori luogo parlare di jazz, come se l’improvvisazione appartenesse solo a questo genere, soprattutto perché in The Universe Inside manca lo swing, mentre il groove è assolutamente rock, esattamente come la sezione ritmica (gli originali Mark Walton al basso e Dennis Duck alla batteria) che non ha nulla della libertà del jazz ed anzi è trainata da una batteria motorik. Ha certamente più senso parlare di psichedelia, totalmente nel DNA dei nostri, perché la libertà dei fraseggi e delle citazioni è contaminata a 360°, ed il mood è ipnotico e lisergico ma denso, arrembante, a tratti sinistro, mai sognante e pacificato. Più che John Coltrane od Ornette Coleman questo riuscito azzardo della band americana riprende e colora le tele dell’acid rock californiano di fine sixties contaminandole con i Pink Floyd barrettiani ma soprattutto con il Canterbury sound ed il krautrock dei seventies (non a caso gli inventori del motorik in 4/4 sono stati i batteristi Jaki Liebezeit dei Can e Klaus Dinger dei Neu!, gruppi che in The Universe Inside si scorgono in molti passaggi), spingendosi a citare Fela Kuti, il Miles Davis di Bitches Brew ed il David Bowie di Heroes ma soprattutto di Blackstar, al netto della capacità di sintesi di quest’ultimo, laddove i nostri cercano la dilatazione. Un album sorprendente, teso, ostico, estremo ma in linea con il percorso musicale dei Dream Syndicate: cerca spessore, non leggerezza, e dispensa profondità, non eleganza.
Voto Microby: 8    
Preferite: Dusting Off The Rust, The Regulator

1 commento:

lucaf ha detto...

The Universe Inside è psichedelia molto sperimentale, in cui il rock elettrico si fonde con riverberi elettronici, free jazz, space rock. Si fa un pò fatica a digerirlo ma indubbiamente è originale. Ricorda alcune cose dei Can o, più modernamente, degli War on Drugs. Per me tre stelle.

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