giovedì 17 dicembre 2015

DAVID GILMOUR


DAVID GILMOUR (2015) Rattle That Lock





I Pink Floyd non sono mai stati una band democratica: segnati dalla leadership di Syd Barrett negli anni dei capolavori psichedelici The Piper At The Gates of Dawn (1967) e A Saucerful of Secret (1968), quindi egemonizzati da Roger Waters negli anni dell’esplosione commerciale ma anche artistica dei capolavori progressive The Dark Side of The Moon (1973) e Wish You Were Here (1975), fino al concept The Wall (1979); infine catalizzati dal gusto melodico e dalla personale tecnica chitarristica di Gilmour nei 30 anni successivi, al solito gonfi di successo al botteghino e dal vivo. Da The Wall, sia in gruppo che nell’attività solistica, nulla di significativo per la storia e l’evoluzione della musica pop-rock. Barrett alla ricerca del proprio cervello irreparabilmente danneggiato dall’abuso di sostanze psicotrope, ma capace di isolate schegge di genio che hanno influenzato il cantautorato psichedelico degli anni a venire; Waters ad inseguire psicoanaliticamente i fantasmi della propria infanzia-adolescenza, ed alla fine incapace di uscire dalla riproposizione ad libitum del deus ex machina The Wall; più in sordina, il meno considerato Gilmour ha pubblicato con parsimonia (l’attuale è il quarto album in studio dal 1978) lavori sempre di buona scrittura epico-melodica, di matrice prog pinkfloydiana sebbene più pop-oriented, segnati dal timbro riconoscibilissimo della sua Stratocaster. Non fa eccezione quest’ultimo lavoro, forse il suo migliore, godibilissimo per le caratteristiche di cui sopra, che sarà amato dai fans di The Division Bell, sarà apprezzato da quelli dei Floyd seventies, mentre irriterà i devoti al verbo barrettiano. Non ultimo: incuriosirà e/o interesserà gli ultraquarantenni, mentre lascerà del tutto indifferenti gli under 30, non toccati dal fascino dei Floyd e non adusi a suoni estranei al contesto musicale degli ultimi 30 anni (eccetto la sacca di irriducibili aficionados del prog ’70, o gli adepti del neo-prog). Tutte considerazioni che permeano il giudizio finale su Rattle That Lock: di cui si apprezza la ricchezza di suoni, la bontà delle melodie, la brillante tecnica dei musicisti, gli arrangiamenti eleganti, il sempre stupefacente fascino dell’elettrica di Gilmour, perfino la varietà delle composizioni (dal prog al valzer, dal crooning al soul, dal rock all’ambient). Ma che, una volta consumato (con molto piacere per le orecchie di un ultracinquantenne come me), viene archiviato tra i dischi belli ma ininfluenti. Ma, ormai prossimi alle vacanze natalizie, si può godere anche del superfluo, così come facciamo con panettone e pandoro. Al solito molto bello (e gotico) l'artwork.

Voto Microby: 7.8

Preferite: Faces of Stone, Rattle That Lock, In Any Tongue

1 commento:

Stefano ha detto...

Ottima recensione, come sempre. Concordo sul tuo giudizio: è il miglior album in studio di Gilmour

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