martedì 30 dicembre 2014

Brani del 2014 (random) da ricordare: JOHN GORKA - BRIGHT SIDE OF DOWN

Cantautore americano autore di uno dei migliori dischi folk dell'anno.



Brani del 2014 (random) da ricordare: MARIANNE FAITHFULL - FALLING BACK

Scritta da Marianne Faithfull ed Anna Calvi.  





Brani del 2014 (random) da ricordare: CASA MURILO - DRIVE

Tanto per farci compagnia in questi giorni di ferie, un po' di brani alla rinfusa, meritevoli di ascolto e ricordo, tendenzialmente indie.
Il primo che propongo è di questa band norvegese di indie-pop. Strano non sia diventato un tormentone.



Brani del 2014 (random) da ricordare: SOPHIE ZELMANI - MAJA'S SONG

Vi rimando alla recensione di Microby.  Disco senza dubbio tra i migliori dell'anno.  



Brani del 2014 (random) da ricordare: ELI YOUNG BAND - DRUNK LAST NIGHT

Band di sano country texano; questo è il primo singolo tratto dall'album 10.000 Towns.


Obiettivo per il 2015: entrare nella Ohio State University Marching Band

I loro half-time show sono una roba che non ci si crede; questo a tema hollywoodiano è incredibile.


mercoledì 24 dicembre 2014

Le migliori canzoni di Natale di tutti i tempi

Non so da voi, ma a casa mia nei giorni di Natale mia moglie prende il sopravvento sull'appleTV e spara canzoni natalizie a raffica. Per questo motivo ma soprattutto per divertimento mi sono stilato una lista delle 10 migliori canzoni di sempre. Non ho voluto fare l'originale ma ho semplicemente messo giù, in ordine sparso, quelle che credo, nella storia della musica degli ultimi 100 anni siano effettivamente le migliori per celebrare le feste. Buon Natale a tutti!


Nat King Cole - The Christmas Song (1961)
Potrebbe sembrare un po' arrogante chiamarla "The Christmas Song", ma non c'è dubbio che questo brano, con quella magnifica voce poi, sia il meglio in assoluto.


Elvis Presley - Blue Christmas (1957)
Tra tutte le cover natalizie del Re, questa è la migliore del mucchio.
John Lennon - Happy Xmas (War is Over) (1972)
Probabilmente una delle più conosciute e riconoscibili canzoni natalizie, l'unica che veramente dà il messaggio giusto di pace, armonia e fratellanza.


Pogues - Fairytale of New York (1987)
Votata più volte come la miglior canzone natalizia di Irlanda, descrive una sorta di sogno ad occhi aperti di un immigrato irlandese ubriaco e rinchiuso in una cella di New York. Non poteva che farla Shane McGowan.


Chris Rea - Driving Home for Christmas (1986)
Ispirata e scritta da Rea mentre si trovava bloccato nel traffico natalizio sulla strada del ritorno a casa.  

Frank Sinatra - Santa Claus is Coming to Town (1957)
Era impossibile non mettere il grande Frank o il suo amico Bing Crosby tra gli interpreti natalizi. La mia preferita tra i classici è questa, scritta  originariamente nel 1932, e poi coverizzata praticamente da tutti i musicisti fino ad oggi.


James Taylor - In the bleak midwinter (2004)
E' la trasposizione musicale di un testo di fine '800, messo in musica per la prima volta nel 1904 (!) e recuperato dal nostro JT a 100 anni di distanza.


Eartha Kitt - Santa Baby (1957)
Ne esistono anche versioni di Marylin Monroe, Macy Grey e Natalie Merchant, anche se la migliore è senza dubbio quella di Miss Piggy dei Muppets.


Otis Redding - White Christmas (1967)
La meno tradizionale tra le versioni di questo brano, che Redding trasfigura fino a farla diventare un brano profondamente soul, puramente Redding.


Boyz II Men - Silent Night (1993)
Bellissima versione "a cappella" di questa canzone gospel.

lunedì 22 dicembre 2014

SONS OF BILL, CYMBALS EAT GUITARS, STRAND OF OAKS


SONS OF BILL (2014) Love And Logic
I tre figli (Sam, James e Abe) di Bill Wilson, docente di filosofia e letteratura a Charlottesville, Università della Virginia, hanno aperto le danze nel 2006 ed ora sono al quarto sforzo come quintetto, sempre nei binari di un’americana che raccoglie i semi gettati da Gram Parsons e The Band, sviluppati dal country-rock più o meno mainstream di The Eagles, CSN&Y, Dwight Yoakam, Steve Earle, e filtrati dopo l’uragano punk da una parte con l’alt-country di Uncle Tupelo, Wilco, Son Volt, dall’altra con i nuovi suoni legati alle tradizioni di R.E.M., The Jayhawks, Band of Horses. I Sons of Bill lo fanno senza sorprendere per originalità, ma riuscendo a fondere tutti i nomi citati e quasi 50 anni di americana in un album molto ben scritto, sia nei testi che nelle melodie (in particolare le ballads), ed altrettanto bene arrangiato e suonato.
Voto Microby: 7.9
Preferite: Lost In The Cosmos, Light A Light, Higher Than Mine
 
CYMBALS EAT GUITARS (2014) Lose
Al terzo album il quartetto di New York dà ancora un senso al genere indie pop-rock: perché altro non si potrebbe definire un lavoro lontano dal mainstream ma che ha in sé le caratteristiche pre-successo del rock epico-drammatico degli Smashing Pumpkins, della scrittura sghemba dei Pavement, della rabbia dei Clash, della freschezza pop di Shins e Modest Mouse. Le punte di diamante sono il leader Joseph D’Agostino, dalla voce potente e nasale sospesa tra Billy Corgan, Conor Oberst e David Surkamp (Pavlov’s Dog), ed il chitarrista Matt Cohen, ottimo sia alla ritmica che negli acidi assoli. Lose è “solo” un buon disco perché registrato nel 2014; 20 anni fa sarebbe stato un grande album. Stranamente oggi, nel panorama rock globalizzato, suona se non attuale, almeno originale.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Jackson, Child Bride, Warning
 
STRAND OF OAKS (2014) Heal
L’humus d’origine fa ben sperare, dal momento che Timothy Showalter, alias Strand of Oaks, è dedito ad un’ americana-rock simile a quella di The War on Drugs, Phosphorescent, Okkervill River. Poi si parte: batteria fracassona, tastiere sintetiche e gommose tra prog ’70 e pop ’80, chitarra elettrica grattugiata e drammatica alla Crazy Horse, cori da stadio, arrangiamenti approssimativi e kitsch. Pare annunciata una stroncatura senza appelli. Ed invece in mezzo a tanta confusione si palpa sincerità e rabbia, depressione e lotta, impulsività e foga, ed il quarto lavoro dell’americano piace, pur nell’improbabile connubio tra synth-pop e distorsioni elettriche. Un tributo a Jason Molina (JM) ci facilita il compito: il nostro sembra in effetti una versione elettrica e disperata dell’artista americano recentemente scomparso.
Voto Microby: 7.5
Preferite: JM, Goshen ’97, Same Emotions


Polly Paulusma - The Small Feat of my Reverie (2014)

POLLY PAULUSMA - The Small Feat of My Reverie (2014)
Una sorta di integrazione del precedente lavoro del 2012 (“Leaves from the Family Tree) l’album contiene 16 brani, comprese versioni alternative (acustiche) e demo di quell’album e alcuni pezzi inediti. Si tratta di un album interessante proprio per questo motivo: dà traccia del processo creativo che porta ad un lavoro finito, come fosse uno schizzo a carboncino prima di un quadro o un modello di bronzo prima di una scultura. Voto: ☆☆☆☆

lunedì 15 dicembre 2014

RIVAL SONS, CHRISTOPHER OWENS, STEVE ROTHERY


RIVAL SONS (2014) Great Western Valkyrie
Quarto album per la band californiana capitanata dal frontman Jay Buchanan, in possesso di una voce potente ed adrenalinica che ha già prodotto paragoni con quella di Robert Plant. Le eccellenti doti tecniche del chitarrista Scott Holiday e del batterista Michael Miley, unite al fatto che la musica proposta è completamente calata nel lustro a cavallo tra i '60 ed i '70, e si nutre di rock, hard-blues e psichedelia ha sollevato da una parte critiche di derivativismo, dall'altra (più corposa) un forte apprezzamento per un retro-rock tecnicamente eccellente ma insieme energico, sincero, appassionato, muscolare ma dal songwriting pregevole: attualmente il miglior vintage-rock in circolazione, un must per chi ha amato Led Zeppelin, Doors, Cream.
Voto Microby: 8.2
Preferite: Electric Man, Good Luck, Play The Fool
 
CHRISTOPHER OWENS (2014) New Testament
Al secondo sforzo da solista dopo la militanza nel duo indie-pop Girls, l’americano abbandona il concept del primo album ma non le atmosfere anni ’70, con le quali ricama i tre generi che hanno permeato la sua vita, privata oltre che artistica: pop, country, gospel. Lo fa con riuscita integrazione dei tre stili, col garbo e l’eleganza che gli appartengono, con arrangiamenti morbidi ed avvolgenti, ma col limite di una voce modulata e gentile che non gli permette variazioni di intensità delle canzoni. Forse per tale motivo i brani migliori hanno passo lento ed impronta gospel. Assai piacevole per l’ascolto in coppia, meno coinvolgente per una festa tra amici.
Voto Microby: 7.6
Preferite: It Comes Back To You, My Troubled Heart, Oh My Love
 
STEVE ROTHERY (2014) The Ghosts of Pripyat
Per il chitarrista dei Marillion (sia era- Fish che -Hogarth) lo spunto ad incidere il primo disco da solista viene dall’invito a partecipare nel 2013 ad un festival della chitarra a Plovdiv (Bulgaria). Nel debutto presenta sette brani strumentali di marca progressive, ma che a differenza dei Marillion gravitano più in area Pink Floyd (periodo Wish You Were Here) che Genesis, e ancor più seguono la scia dei Porcupine Tree prog (peraltro ospite nel disco Steven Wilson, oltre a Steve Hackett). Nessuna nuova proposta, ma eccellenti linee melodiche prive dei barocchismi seventies, col valore aggiunto di più di una chitarra (acustica ed elettrica) da lode.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Morpheus, Kendris, The Ghosts of Pripyat


sabato 6 dicembre 2014

MARK LANEGAN BAND, STEVEN WILSON, PINK FLOYD


MARK LANEGAN BAND (2014) Phantom Radio
Per metà degli ascoltatori Blues Funeral, del 2012, era stato un album riuscito, perfino eccellente col suo sound hard-elettronico scuro ed anni ’80. Personalmente stavo con l’altra metà, che lo considerava confuso, pasticciato, stanco e finto-arrabbiato. Ora che la critica sta stroncando l’attuale Phantom Radio, considerandolo figlio mal concepito di quel sound, mi trovo di nuovo nel ruolo di bastian contrario: finalmente calato senza indugi nel suono eighties, l’ex frontman degli Screaming Trees partorisce il suo disco più pop-rock ed orecchiabile, che sarebbe stato considerato un gioiello di dark-pop nel 1984 ma che 30 anni dopo scontenta sia gli amanti del revivalismo synth-pop ’80 (ai quali Phantom Radio non risulterà né allegro nè danzabile), sia i puristi che probabilmente speravano in un’accelerata hard-blues elettronica. Ma qui siamo di fronte a belle canzoni interpretate da una voce al solito magnificamente sinistra. Si può perdonare un eccesso di tastiere sintetiche negli arrangiamenti.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Harvest Home, The Killing Season, Floor of The Ocean
 
STEVEN WILSON (2014) Cover Version
Il prolifico leader di (tra gli altri) Porcupine Tree, Blackfield, No-Man anche da solista calca territori molto diversi tra loro, dal prog al metal, dal cantautorato acustico all’avantgarde. Come da titolo, nell’ultimo sforzo propone 6 cover (di Alanis Morissette, Abba, The Cure, Momus, Prince, Donovan) ed altrettanti brani autografi, gli uni e gli altri già pubblicati come side A e B di CD singles tra il 2003 ed il 2010. Arrangiamenti prevalentemente acustici basati su chitarra e piano, con tocchi discreti di elettronica di scuola Eno, e rinforzi di chitarra elettrica di scuola Fripp o Gilmour. Le cover suonano originali ma coese al resto del lavoro, che risulta apprezzabile ma di livello inferiore. L’impressione è (come per Joe Bonamassa in contesto rock-blues) che se il geniale artista inglese non disperdesse energie ed idee in mille progetti collaterali, potrebbe deliziarci con un capolavoro. Ma il momento è ancora rimandato.
Voto Microby: 7.5
Preferite: The Guitar Lesson, The Day Before You Came, Four Trees Down
 
PINK FLOYD (2014) The Endless River
Quel che resta dei Pink Floyd (il chitarrista David Gilmour ed il batterista Nick Mason) decide di pubblicare il materiale (18 brani di cui 16 strumentali, spesso bozzetti o spunti musicali che è difficile considerare compiuti) scartato durante (o composto a latere del)le sessions di The Division Bell (1994), quindi con la partecipazione del tastierista Rick Wright, ora scomparso. Non si va oltre l’operazione nostalgia, dal momento che le canzoni proposte (già non accettate per la pubblicazione dai discografici in illo tempore) non aggiungono nulla alla storia dei nostri, pur ricordandoci un suono immediatamente riconoscibile e la liricità della chitarra di Gilmour, vero protagonista del progetto. Come scontato, e come per il ritorno degli U2 pochi mesi fa, un ottimo prodotto che tuttavia ci ricorda che l’arte è un’altra cosa (e, almeno per i Pink Floyd, appartiene al passato).
Voto Microby: 7
Preferite: Anisina, Allons-Y 1-2, Sum

Recensioni Italia: Cristina Donà, Sergio Cammariere, Denovo, Mario Venuti

CRISTINA DONA’ - Così vicini (2014)
Penso davvero sia una delle migliori cantautrici italiane in attività anche se mai riuscita ad arrivare al successo (purtroppo) nonostante gli eccellenti lavori pubblicati in questi anni. Musicalità ricca di personalità e di talento, a tratti dolce ed a tratti spigolosa quasi come una PJ Harvey o una Ani DiFranco nostrana. Anche in questo disco, come nel precedente, magnifico, “Torno a casa a piedi” le geniali soluzioni melodiche non appaiono mai scontate e sono intrise di uno stupendo retrogusto indie. Dieci brani ricchi di serenità e grande ispirazione. I migliori: Così Vicini, Il senso delle Cose.NB Stasera in concerto a Brescia alla latteria Molloy. 
Voto: ☆☆☆☆

SERGIO CAMMARIERE - Mano nella mano (2014)
Ogni uscita di SG è sempre un grande piacere per lo spirito: il suo piano jazzy contaminato con sonorità latine e caraibiche è sinonimo di eleganza e raffinatezza. La sua musica è da ascoltare con un buon bicchiere di single malt lasciandosi prendere dall’emozione dei suoi ritmi bossanova e dalla raffinatezza dei suoi arrangiamenti.  Musica che trabocca di sfumature e colori, atmosfere nostalgiche da piano bar d’antàn, una sorta di ibrido tra Ivano Fossati, Fabio Concato e Burt Bacharach (oddio forse sto esagerando…). Un disco quasi perfetto, sognante, passionale, nostalgico, romantico. I brani migliori: Le incertezze di marzo, Quel tipo strano, Così solare. Voto: ☆☆☆☆

DENOVO - Kamikaze Bohemien (2014)
Dodici brani che risalgono agli anni ’80, quasi del tutto inediti (solo tre furono usati in un EP ma in un’altra versione), rinvenuti dal vecchio manager del gruppo in uno studio di registrazione e rimixati senza aggiungere sovraincisioni di sorta. La cosa è abbastanza incredibile visto che il disco suona assolutamente come nuovo e giunge a festeggiare il 30° anniversario della fondazione della band catanese. Da allora Luca Madonia e Mario Venuti hanno avuto buone carriere soliste ma chi, come il sottoscritto, apprezzava il loro pop-rock fresco e piacevole (ora lo chiameremmo indie-rock) non poteva non gradire questa sorpresa. il brano migliore: Ipnosi. Voto: ☆☆☆

MARIO VENUTI - Il tramonto dell’occidente (2014)

Dopo la collaborazione per il 30° anniversario dei Denoto, il suo ex leader ha pubblicato il suo ottavo album con la collaborazione ideativa di Francesco Bianconi dei Baustelle. Il pericolo di chiudersi nella leziosità (anche se geniale) dei Baustelle era sempre dietro l’angolo ma la consueta concretezza melodica di MV ha fortunatamente permeato le varie tracce dell’album. Peccato per non essere stato in grado di essere convincente per tutto il disco, nonostante l’aiuto di ospiti illustri come Battiato, Alice (“Tutto appare”) e Giusy Ferreri (che continua nel disperato tentativo di liberarsi dal suo peccato originale di XFactor) e il suo lodevole tentativo di tributo agli Wilco (“Ciao American Dream” è la cover di “Ashes of american flag”). I brani migliori: Ventre della Città, Il banco di Disisa. Voto: ☆☆☆

giovedì 4 dicembre 2014

20,000 Days on Earth

20,000 Days on Earth (2014) Poster


Per festeggiare il suo ventimillesimo complegiorno (pari a quasi 55 anni) Nick Cave si è fatto confezionare dagli artisti  Iain Forsyth e Jane Pollard questa chicca autobiografica, forse un po' iper-ego-trofica, ma certamente un must-see assoluto per i fan più incalliti del nostro e fortemente consigliato a tutti gli appassionati di rock.
Una delle scene iniziali è una finta, ma non troppo, seduta col suo (vero) psicanalista. Un enunciato didascalico di cosa sarà il resto del documentario: l'essenza della rock star dal più profondo dell'io. 
Nick Cave è uno dei più significativi artisti contemporanei e questo contributo mostra perché. Scrivere musica (o romanzi) è darsi una descrizione, a volte spiegazione, del mondo che lui guarda come osservatore esterno. Suonare la musica dal vivo sul palco è trasformarsi in ciò che lui desidera essere, e quindi partecipare al mondo da protagonista. Un caso di schizofrenia che si sublima nella produzione artistica.
Tra le chicche, a parte la fotografia e alcuni fantastici estratti dei concerti di Sidney e Londra dall'ultimo tour, il dialogo con l'attore Ray Winstone durante il quale Cave espone la sua visione della rock star, che dev'essere caratterizzata da una fissità quasi immutabile, come Dio.

domenica 30 novembre 2014

Recensioni al volo: Damien Rice, ASA, Goldfrapp (deluxe edition)

DAMIEN RICE - My Favourite Faded Fantasy (2014)
Ben otto anni ci sono voluti affinchè DR trovasse il coraggio di riprovare ad avere il successo dei due precedenti “O“ (del 2002) e “9” (del 2006). Chitarra acustica, voce lieve, canzoni che sembrano non finire mai alla ricerca interna della loro strada (un solo brano sotto i 5 minuti), arrangiamenti molto curati, atmosfere soft, probabilmente ispirate dall’esilio volontario in Islanda dopo la sua dolorosa rottura sentimentale ed artistica da Lisa Hanningan (ricordate il toccante brano di apertura di “9”?). Stiamo parlando di uno dei migliori cantautori (irlandesi e non) degli ultimi vent’anni, una sorta di nuovo poeta della musica. I brani migliori: My favourite Faded Fantasy, It Takes a lot to know a man, I don’t want to change you. Voto: ☆☆☆☆

ASA - Bed of Stone (2014)
Nel caso viviate nelle caverne e non conosciate ancora ASA (si pronuncia “Asha”), sappiate che si tratta di un’artista franco-nigeriana dal talento eccezionale, attualmente probabilmente la migliore giovane musicista africana. Ne avevo già scritto 4 anni fa (cercatevi il video di “Be My Man”, fantastico R&B stile Motown) e questo lavoro (il suo terzo) non smentisce la sua qualità: un album con canzoni una diversa dall’altra ma sempre tipicamente sue. Si corre dal jazz-blues al pop, dal R&B al neo-soul con un tanto di impronta etno che non annoia mai ma anzi ne arricchisce le melodie. I richiami: Sade, Lauryn Hill, Jill Scott, D’Angelo. I brani migliori: How Did Love Find Me, Ife,The One That Never Comes. Voto: ☆☆☆☆

GOLDFRAPP - Tales of Us (Deluxe Version) (2014)

Con la scusa dell’uscita della versione Deluxe datata 2014, vorrei recuperare a futura memoria questo lavoro del duo di Bristol, uscito verso la fine del 2013, e già brillantemente recensito da microby ad ottobre 2013. Le delusioni patite ascoltando i loro ultimi cazzeggi trip-hop ed electro-pop immersi in un intimismo quasi algido non erano sicuramente un buon viatico per questo disco. Al contrario, il suo ascolto rivela un disco acustico in cui le rare incursioni elettroniche non oscurano le atmosfere riflessive, notturne, delicate, quasi sussurrate che riportano inevitabilmente al loro promettente disco di esordio.  A mio parere, ad oggi, il loro miglior disco. I brani migliori: Annabel, Drew, Clay.  Voto: ☆☆☆☆

giovedì 27 novembre 2014

Robbie Boyd - So Called Man (2014)

ROBBIE BOYD - So Called Man (2014)
Cominciamo subito dalla fine. Sicuramente il miglior disco pop-folk dell’anno, punto.

Prodotto da Tristan Ivey (lo stesso di Frank Turner) RB, inglese di Londra, è al suo esordio con questo disco di 12 brani ricchi di melodie scanzonate, che ricordano gli up-beat migliori di Jason Mraz, il folk-rock di Mumford & Sons, le ballate pop di Ryan Adams o gli esordi dei Coldplay. Un disco indubbiamente di facile ascolto, rinfrescante ed energetico, il cui unico difetto è quello di essere troppo accattivante e troppo perfetto. Voto: ☆☆☆☆


sabato 22 novembre 2014

NEIL YOUNG (2014) Storytone

NEIL YOUNG (2014) Storytone
Matto d’un canadese! Prima propone musica tecnicamente ad altissima fedeltà col progetto “Pono”, poi incide un disco lo-fi primordiale come A Letter Home, giustamente stroncato da Luca sul blog. Due anni fa pubblica un capolavoro di rock psichedelico (Psychedelic Pills), tutto viscere e zero belletti, ed oggi se ne esce con un disco doppio (anzi schizoidamente speculare, con la medesima scaletta di 10 brani interpretati nel primo CD con un’orchestra sinfonica di 93 elementi o una big band da swing-era, e nel secondo CD in solitario, solo piano-voce o chitarra acustica-voce, con comparsate di armonica) in cui è difficile distinguere quale sia l’album ufficiale e quale il bonus. Sì perché, dopo un iniziale smarrimento, ti trovi a considerare che alcuni brani “solo” non sfigurerebbero su After The Gold Rush (quelli piano-voce) o su Tonight’s The Night (quelli chitarra-voce), ed altri “orchestrali” sono parenti, anche per qualità, di canzoni già apprezzate su Harvest o Comes A Time, o che quelli con la ”brass band” richiamano This Note’s For You. Manca l’equilibrio, perché nel primo disco gli archi sono talvolta ridondanti e melliflui, e nel secondo alcuni episodi sono all’opposto grezzi come dei demo. Diavolo d’un canadese! Sarà perché dopo 36 anni ha divorziato dalla sua adorata Pegi per mettersi con Daryl Hannah, l’ex sirena di Manhattan? Matto? Chi ha detto matto?? Genio!!
Voto Microby: 7.8
Preferite: CD1 - I’m Glad I Found You, Say Hello To Chicago; CD2 - Plastic Flowers, When I Watch You Sleeping

giovedì 20 novembre 2014

BEN HOWARD, COUNTING CROWS


BEN HOWARD (2014) I Forget Where We Were
E’ simile a quella dell’hawaiiano Jack Johnson, la storia musicale del 27enne inglese: apprezzato folksinger dalla comunità di surfisti locali, e dagli stessi convinto a trascurare la tavola per dedicarsi professionalmente alla chitarra, eccolo ora al secondo album a ricevere gli apprezzamenti di critica e pubblico. Per mood classificato tra i cantautori intimisti post-Damien Rice, in realtà il nostro è sì malinconico, ma dagli arrangiamenti tremendamente moderni pur evitando l’hype dell’elettronica. Mentre i coevi Jake Bugg ed Ed Sheeran partono dal british-folk per arrivare ad un tiro rock-soul radiofonicamente d’impatto, Ben Howard resta nel limbo dell’indeterminatezza, del dubbio, dell’introversione. Intimità e struggimento esaltati dall’uso sapiente del riverbero pressoché costante sulle chitarre, acustiche, semiamplificate ed elettriche ad effetto “space” (ma anche The Edge). Perde in immediatezza, ma acquista in profondità. E si sfila dal gruppo di Nick Drake-Damien Rice-Neil Halstead-Bill Fay per accodarsi a quello di John Martyn-David Gray- Xavier Rudd-Nick Mulvey. Splendidi gli arrangiamenti, deve migliorare nella scrittura delle melodie, che tendono ad assomigliarsi. Ma è da seguire.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Rivers In Your Mouth, Small Things, I Forget Where We Were

COUNTING CROWS (2014) Somewhere Under Wonderland
L’americana dei Counting Crows è sempre stata immediatamente riconoscibile: propulsione elettrica appassionata anni ’90 (figlia dei R.E.M.) su solide basi roots anni ’70 (figlie di The Band). Col valore aggiunto della voce del leader Adam Duritz, drammatica ma verbosa come un film di Woody Allen, logorroicamente lamentosa come i testi del regista newyorkese ma priva del suo sarcasmo. A 6 anni dalla precedente prova autografa (2 anni dopo l’ottima interpretazione di materiale altrui con Underwater Sunshine) la band di San Francisco conferma le doti di sempre, con una maggior tendenza rock, al solito struggente più che ludico. Un bel disco nella sua classicità. Chi cerca novità si rivolga altrove.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Scarecrow, Earthquake Driver, Possibility Days
 


venerdì 14 novembre 2014

LUCINDA WILLIAMS, MARIANNE FAITHFULL


LUCINDA WILLIAMS (2014) Down Where The Spirit Meets The Bone
Cinquantunanni e 12 dischi senza averne sbagliato uno. L’americana è sempre riconoscibilissima con la sua miscela cantautorale di rock languido e country passionale con accenti blues, ben servita da una voce roca ed emozionale, che tuttavia non le permette mai di allontanarsi da un umore nostalgico e malinconico. Nell’ultimo album, doppio per 20 brani e 104 minuti di durata, la fanno da padrone le sontuose partiture per chitarra elettrica (offerte dai fidi Val McCallum e Greg Leisz e dagli ospiti Tony Joe White, Bill Frisell, Jonathan Wilson, Doug Pettibone e Stuart Mathis), ben sostenute dalla sezione ritmica di Elvis Costello. Bel disco, meglio quando di ispirazione rock piuttosto che country. Unica nota stonata la prolissità, sia nella singola canzone (spesso troppo insistita) che nella totalità del lavoro (almeno 5-6 canzoni sono pleonastiche e diluiscono l’impatto sonoro). Ma è un peccato veniale.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Burning Bridges, Protection, Walk On, East Side of Town, Big Mess

MARIANNE FAITHFULL (2014) Give My Love To London
A 68 anni l’ex icona pop dei sixties e più tardi potente ed originale interprete del cantautorato post-punk e poi kurtweilliano, oltre che attrice intensa e di successo, torna ad una scrittura anni ’60 ma con arrangiamenti evergreen, supportata alla penna e agli strumenti da un parterre d’eccezione: Steve Earle, Nick Cave, Roger Waters, Brian Eno, Anna Calvi, Tom McRae, Ed Harcourt, Flood, e lo struggente violino di Warren Ellis. L’album è bello, lirico, passionale e coeso, nonostante l’ampia varietà di stili, dal folk-beat alla ballata pianistica, dal rock’n’roll al cabaret mitteleuropeo, dalla composizione orchestrale allo spunto velvetiano. Uno tra i suoi lavori migliori di sempre.
Voto Microby: 8
Preferite: Love More or Less, Sparrows Will Sing, Give My Love To London


venerdì 7 novembre 2014

STEVIE NICKS, MY BRIGHTEST DIAMOND, THE BLACK KEYS


STEVIE NICKS (2014) 24 Karat Gold (Songs From The Vault)
Unica tra i membri dei Fleetwood Mac ad aver goduto di ampio successo commerciale anche da solista, la cantante americana nell'ultimo album propone brani scritti tra il 1969 ed il 1995. Tuttavia lo stile compositivo non lascia trasparire chiare differenze o disequilibri, in parte aiutato dal fatto che non si tratta di outtakes originali, ma di brani totalmente riarrangiati e prodotti insieme a Dave Stewart. Il risultato è un ottimo lavoro, decisamente più guitar-oriented rock rispetto al pop patinato dei FM, grazie anche alla brillante partecipazione di chitarristi di levatura (Waddy Wachtel, Davey Johnstone, Mike Campbell). Personalmente sono tra quelli che non amano molto il timbro vocale della nostra, pur caratteristico ed immediatamente riconoscibile (ipernasale, che alla lunga trovo lagnoso e poco versatile nell'interpretazione); ho amici che non sopportano Dylan o Costello per il medesimo motivo. Altrimenti il voto sarebbe anche più alto.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Mabel Normand, Starshine, 24 Karat Gold
MY BRIGHTEST DIAMOND (2014) This Is My Hand
In sordina, e col costante apprezzamento della critica, la polistrumentista americana Shara Worden (unica titolare della ragione sociale MBD) è giunta alla quinta fatica. Figlia di musicisti e cresciuta tra studi di musica classica ed ascolto di musica colta di varia estrazione, riporta in toto nei suoi albums il proprio background di opera, cabaret, chamber pop, jazz orchestrale, folk e rock. E lo fa in modo originale e brillante nonostante (o anche grazie a) riferimenti palesi ai progetti simili di Woodkid, Sufjan Stevens, San Fermin, Kate Bush, Antony And The Johnsons. Spazio prevalente a tastiere, tamburi, elettronica soffusa, contrappunti di fiati, voce spesso modulata al falsetto, per un pop intellettuale ma di ascolto piacevolissimo.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Pressure, Love Killer, Before The Words

THE BLACK KEYS (2014) Turn Blue
Partito nel 2002 dall’indie garage-rock-blues ed approdato a Grammy e classifiche con l’ultimo El Camino nel 2011, il duo americano Dan Auerbach e Patrick Carney conferma con Turn Blue il produttore vincente Danger Mouse ma resta a metà del guado, indeciso tra il rock sporco e bluesato (tra Yardbirds, Neil Young elettrico e Marc Bolan) che li ha imposti alla critica ed il pop-rock (alla MGMT, Kasabian per risalire fino alla J.Geils Band) che, con tastiere vintage, voce in falsetto seducente e melodie orecchiabili li ha catapultati in classifica. Il lavoro è pertanto dicotomico, ed accontenta entrambi i gruppi di fans senza entusiasmarne nessuno. Possono fare meglio.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Weight of Love, Bullet In The Brain, It’s Up To You Now


domenica 2 novembre 2014

Recensioni: Hey Rosetta!, Ben l'Oncle Soul, Yusuf (Cat Stevens)

HEY ROSETTA! - Second Sight (2014)
Nuovo lavoro per la band indie folk-rock canadese, vista da qualcuno come parente povera degli Arcade Fire. In realtà, pur essendo indubbiamente meno istrionici degli AF il loro ascolto è sempre magnetico e rilassante. Rispetto al precedente “Seeds” (andatevi a ripescare la recensione di microby) in questo disco mi sembrano sicuramente meno neo-prog e meno frenetici, con toni più leggeri ed ariosi, portandoli magari più vicino ai Vampire Weekend e allontanandoli decisamente dagli Elbow, più rintracciabili nel precedente lavoro. Buona musica, di quella che ascolti una volta e poi ancora e poi non riesci più a levartela di dosso.  Altro che parenti poveri: gli allievi stanno superando i maestri. Voto: ☆☆☆☆1/2

BEN l’ONCLE SOUL - A coup de Reves (2014)
Il francese Benjamin Duterde è probabilmente uno dei migliori cantanti soul europei: il suo brano “Soul Man” del 2010 è in assoluto uno dei brani più belli di quell’anno. Un lavoro soul genuino, parzialmente cantato in francese, che rinverdisce gli stilemi Motown: vende 500.000 copie in Francia e vince una marea di premi a livello europeo (MTV ecc ecc:). Ben non si monta la testa e se ne va a San Francisco per unirsi ad una band soul psichedelica (“Monophonics”): passano 4 anni e quest'anno si porta dietro a Parigi la band per farsi supportare in questo disco. Anche in questa occasione la sua missione di far rivivere il soul degli albori è perfettamente riuscita: energia e cuore, aggressività e dolcezza, tutto quello che si vuole dal soul è qui vicino, in Francia.     Brani migliori: A Coup De Reves, Attends-Moi. Voto: ☆☆☆☆

YUSUF (CAT STEVENS) - Tell ‘em I’m gone (2014)

Il vecchio gatto (per me rimane sempre Cat Stevens, come Cassius Clay è sempre Cassius Clay e non Muhammad Alì) ha pubblicato un nuovo disco, con un buon numero di ospiti: Richard Thompson, Charlie Musselwhite, Bonnie “Prince” Billy ed altri. Cinque cover e cinque brani originali: le più belle sono le prime tre: I Was Raised in Babylon, Big Boss Band e Dying to Live (vecchio brano di Edgar Winter). Proseguendo nell’ascolto il livello si abbassa parecchio: in sostanza un disco discreto, non eccelso. Voto: ☆☆☆

mercoledì 29 ottobre 2014

SOPHIE ZELMANI


SOPHIE ZELMANI (2014) Everywhere
Timida ma caparbia, la cantautrice svedese dopo aver mollato la Sony licenzia il secondo album in pochi mesi, dopo il bellissimo Going Home in cui ha proposto nuove versioni di vecchie canzoni. Ora è la volta di brani inediti, ma gli arrangiamenti sono immutati: acustici, dalle trame semplici ma dai dettagli raffinati, che si tratti di fiati vanmorrisoniani o di archi bacaloviani o di pizzicati knopfleriani. Il passo è lento, felpato: intimo o noioso, dolce o soporifero a seconda della disposizione dell’ascoltatore. Le qualità vocali della Zelmani non le hanno permesso finora, in 18 anni di carriera, di esprimersi in altro modo che col sussurro (al pari di J.J. Cale): limite severo, che tuttavia lei ha saputo trasformare in tenerissima carezza. Forse sempre più o meno uguale a se stessa, ma ci si può lamentare di dolci coccole ripetute? Per sensibilità musicale assai vicina a Vashti Bunyan, non aspettiamo di scoprirla fra 40 anni come è successo all’artista inglese…
Voto Microby: 7.8
Preferite: Should I Tell You, The Lord, Charlotte By The Shore

giovedì 23 ottobre 2014

LISA AND THE LIPS, BEN MILLER BAND, LENNY KRAVITZ


LISA AND THE LIPS (2014) Lisa And The Lips
L' hawaiiana Lisa Kekaula è la prodigiosa voce dei Bellrays, band californiana che negli anni '90 e '00 ha raccolto vivaci consensi con la sua miscela infuocata di soul e punk. Solo momentaneamente accantonata la band-madre e temporaneamente accasatasi a Madrid col partner/chitarrista Bob Vennum, Lisa si è avvalsa di giovani musicisti locali per sezione ritmica e fiati e ha dato corpo alla parte più black della propria anima. Il risultato è un soul/R&B/funky trascinante, molto ben suonato nonostante conservi l'energia punk-rock che lo differenzia dal retro-soul vintage dei classici Sharon Stones, Charles Bradley e Lee Fields. Peccato non abbia osato spingersi oltre, come ha fatto Black Joe Lewis contaminando sapientemente il soul col garage-rock e la psichedelia: con la voce che Lisa possiede non avrebbe rivali nel campo. Ma non è esclusa una possibile evoluzione in tal senso. Intanto dal vivo è imperdibile: sembra la figlia scapestrata di James Brown (vista live durante l'estate ad Arena Sonica, Parco Castelli, Brescia, free!)
Voto Microby: 7.8
Preferite: Mary Xmas, The Pick Up, It Only Takes A Little Time
BEN MILLER BAND (2014) Any Way, Shape Or Form
Ricordate la scena in cui i Blues Brothers suonavano Rawhide all’infinito in un country-bar protetti da una gabbia che li difendeva da bottiglie bicchieri scarpe ed altri ammennicoli scagliati dal pubblico? Ebbene, il trio di irsuti montanari capitanati da Ben Miller e dotati di capacità tecniche notevolissime sarebbe perfetto per quella location. Energia a fiumi (alcoolici), ritmi indiavolati, scrittura colta che conosce a memoria la tradizione country, bluegrass, old-time music, hillbilly, mountain stomp, blues elettrico, folk degli Appalachi e southern rock. Perché la vera forza del trio è la naturale capacità di ibridare ZZ Top con Nitty Gritty Dirt Band passando per Buddy Guy, shakerare Black Keys con Old Crow Medicine Show assoldando R.L. Burnside. In un trionfo di banjos, dobro, slide, chitarre elettriche, armonica, fiati e strumenti fatti (il basso) o recuperati (l’asse per lavare i panni) in casa. “Ozark stomp” autodefiniscono la propria musica (il trio è originario delle Ozark Mountains): al netto di qualche ingenuità, ridefiniscono il nu-country ed il neo-traditional folk aprendoli all’ascolto dei non appassionati con una carica di energia ed allegria contagiosa, davvero degna dei Blues Brothers.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Hurry Up And Wait, Ghosts, You Don’t Know


LENNY KRAVITZ (2014) Strut
Il risveglio dal torpore creativo testimoniato dall’ottimo Black & White America di 3 anni fa non è rimasto un fatto isolato. Dopo gli ampi consensi di critica e pubblico riscossi con i primi 3 albums, un’intrigante e calda fusione di musica black (Jimi Hendrix) e white (Beatles), erano seguiti lavori meno ispirati cui LK aveva cercato di porre rimedio affidandosi ad un pop-rock più radiofonico ma anche più bianco e dozzinale. Il ritorno alla pura black music dei seventies col riuscito melting pot di rock, soul e funky di B&WA ha ora un seguito in Strut: disco carnale e sporco, zeppo di grooves e di chitarre sferraglianti che macchiano di garage la costante propensione alla disco e al glam dei ’70. Puro divertimento, sebbene liberatorio piuttosto che allegro, dopo l’impegno sociopolitico di B&WA. Rinascita confermata.
Voto Microby: 7.6
Preferite: The Pleasure And The Pain, Dirty White Boots, She’s A Beast




venerdì 17 ottobre 2014

Recensioni: Adam Cohen, Jackson Browne, Brigitte DeMeyer

ADAM COHEN - We go home (2014)
Non deve essere per niente facile confrontarsi con il padre, e anche per il sottoscritto è praticamente impossibile non pensarci. Peraltro in questo album Adam suona indubitatamente proprio come il padre che tra l’altro viene evocato in molte parti del lavoro con riferimenti biografici e personali. Nonostante quindi non cerchi più di tanto di nascondere il suo DNA, in quest’album, grazie anche alla collaborazione dell’amica Serena Ryder, il suo folk-rock impreziosito da ballate gospel cerca di trovare la sua strada.  Una serie di melodie nè stucchevoli nè inaccessibili in cui Adam dimostra un tentativo di imporre il proprio stile senza dimenticare l’ascendente genetico.
Riferimenti: Mumford & Sons. Brani migliori: Song of Me and You, We Go Home, So Much to Learn. Voto: ☆☆☆☆

JACKSON BROWNE - Standing on the breach (2014)
In piedi sulla breccia.  Chi se l’aspettava: lo stupendo disco doppio di sue cover (andatevi a ripescare la recensione) ci aveva fatto riandare nel passato e ci aveva confermato come la sua musica non avesse tempo e l’energia di nuovi interpreti è stata una ulteriore conferma della unica bellezza delle sue canzoni. Sicuramente il suo apice creativo risale a 40 anni fa, tra “Late for the Sky” ed il disco on the road “Running on empty”: da lì in poi dischi sempre di classe ma senza incantare mai.  Ed anche stavolta il timore, per lui come per tutti i grandi del passato, era quello di trovarsi di fronte ad un disco di declinante professionalità. Ebbene niente di tutto ciò: ballate dolci, malinconiche ma solide. Melodie lente ed intime. Disco bellissimo. Brani migliori: The Birds Of St. Marks, If I Could Be Anywhere. Voto: ☆☆☆☆

BRIGITTE DeMEYER - Savannah Road (2014)

Figlia di un marinaio belga sempre in giro per il mondo con la sua famiglia, poi stabilitasi e  cresciuta in California, ed è al 6° album in 13 anni di carriera. Ha una voce che ricorda quella di Sheryl Crow ed il suo genere mescola country e bluegrass al blues ed al soul.  Negli ultimi tempi fa da spalla nei concerti di Gregg Allman (mica male come biglietto da visita..). Riferimenti: Lyle Lovett. Brano migliore: Boy's Got Soul. Voto: ☆☆☆

martedì 14 ottobre 2014

Parliamo male di: ALEX BANKS, FKA TWIGS, KAISER CHIEFS, THE HORRORS, WILLIAM FITZSIMMONS


ALEX BANKS (2014) Illuminate
Ventenne inglese autore di musica elettronica da ascolto, basata su melodie e beats reiterati, su strutture circolari ed iterative ad effetto rilassante/ipnotico, più parente della musica lounge da salotto europeo contemporaneo che dell’avantgarde. Niente di nuovo sotto il profilo dell’innovazione ma nemmeno grande creatività melodica. Piacevole come sottofondo.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Silent Embrace, A Matter of Time
 
FKA TWIGS (2014) LP1
Formerly Known As Twigs (FKA aggiunto nel 2012 in seguìto ad una disputa legale con un gruppo omonimo) è l’aka della 22enne inglese Tahliah Barnett, l’ennesima artista descritta come il futuro dell’R&B. Se il destino della black music è riposto in questo mix di elettronica, trip-hop, hip hop figlio di Eno, Bjork, Aphex Twin, James Blake (in ordine cronologico) e cugino dell’elettronica da ascolto dei vari Alex Banks, Chet Faker, How To Dress Well, Christian Loffler ibridata con il nu-soul da MTV degli altrettanto vari (nel senso di interscambiabili) Frank Ocean, Blood Orange, Kanye West, Ed Sheeran beh… preferisco la pensione con Aretha Franklin, Mavis Staples, Sharon Jones o piuttosto con un’ambient/elettronica seria. In LP1, al di là dei bei suoni esaltati da un impianto stereo come si deve e dell’innegabile physique du role della protagonista (ma quante se ne possono clonare di simili?), mancano proprio delle idee che facciano la differenza. Assolutamente rimandata.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Two Weeks, Closer, Video Girl
 
KAISER CHIEFS (2014) Education, Education, Education & War
Al 6° album la band di Leeds, che da sempre rappresenta la versione più anthemica del brit-pop (anche se epigono), non cambia di una virgola la carica innodica da stadio per adolescenti (nei primi lavori sorretta da buona ispirazione), con riffs di chitarra e sezione ritmica arrembanti. Tutto ben fatto, carino, orecchiabile. Tuttavia ormai la minestra è riscaldata, le polveri bagnate ed il trasporto emotivo non è più rabbioso, ma enfatico. Urge qualche idea nuova se non un cambio di direzione, per un gruppo che ha ancora ottime potenzialità.
Voto Microby: 6.9
Preferite: The Factory Gates, Roses, Coming Home
 

THE HORRORS (2014) Luminous
Il quintetto inglese non riesce proprio ad andare oltre una copia derivativa della new wave anni ’80, con chitarre sature, tastiere enfatiche, batteria roboante, voce epica e sofferta. Una mera imitazione dei Simple Minds, ma quelli peggiori, e fuori tempo massimo. Suggerito solo agli appassionati del genere.
Voto Microby: 6.8
Preferite: So Now You Know, Chasing Shadows, First Day of Spring
 
WILLIAM FITZSIMMONS (2014) Lions
Nonostante una produzione di lusso (Chris Walla dei Death Cab For Cutie), attenta ad arricchire gli arrangiamenti delle altrimenti scheletriche canzoni dell’irsuto cantautore della Pennsylvania, l’atmosfera generale del lavoro non riesce ad emergere dalla monotonia. A dimostrazione che non sono sufficienti dei bei suoni per fare un bel disco. Che barba questi barbuti cantautori confessionali che dimenticano di assumere l’antidepressivo con regolarità!
Voto Microby: 6.8
Preferite: Took, From You, Well Enough





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